giovedì 26 luglio 2012

PERCHE' FARSI UNA MACCHINA SPORTIVA SE POI DEVI USARLA COME PASSEGGINO?



Stavo leggendo una notizia su Alessandra Martinez che a 50 anni aspetta un figlio dal compagno di 30. Guardo sempre con un certo scetticismo la decisione quante decidono diventare mamme ad un’età avanzata. È vero, oggi una donna di mezz’età, con il fisico allenato da sempre come è quello della Martinez e vissuto tra gli agi della vita moderna affronta una gravidanza con un’energia diversa rispetto a una coetanea di 100 anni fa che aveva passato la vita nei campi e alla soglia dei 50 era buona solo per filare la lana raccontando favole ai nipoti accanto al camino ma quello che mi colpisce delle “giaguare” moderne è questa ostinata necessità di procreare con compagni giovanissimi.
Insomma una si da un gran da fare tra palestra, pilates, vitamine, diete proteiche, chirurgia estetica (“no, devo tutto ai miei ottimi geni”, certo perché noi veniamo dalla montagna del sapone…) coronando poi il suo successo seducendo virgulti che le conoscono per averne letto sui libri di storia e invece di godersi l’impeto di uno che ti sveglia 3 volte la notte per fare sesso, dopo un po’ decidono di farci un figlio.
Certo anche Belen è incinta (credo…la notizia dipende sempre dal fidanzato del momento e se il gradimento del pubblico è in calo) ma a 26 anni questa è capace di partorire mentre fa sci nautico a Formentera e una settimana dopo è già pronta per sfilare per Miss Bikini. Vuoi mettere invece una donna di 50 anni? Peti, nausee, la pancia che si ingrossa, la ricrescita bianca dei capelli che non puoi tingere per paura dell’ammoniaca e i dolori alla schiena un po’ per la gravidanza un po’ perché c’hai un’età, insomma tutta roba che smonta l’impeto virile come un ghiacciolo lanciato nelle mutande.
Quello che a noi attempati piace dei giovani è la loro energia, la loro irruenza, l’odore della carne fresca e tesa e li frequentiamo perché, illusorio o meno, ci regalino l’illusione di “una botta di vita” e non perché li si pieghi poi a condurre insieme a una vita di mezz’età che potevamo fare con un nostro coetaneo (almeno con loro se gli parli di Uan, il cane rosa di “Bin, bun, ban”, sanno di che si tratta). Insomma, per come la vedo io, se ti fai una Maserati è per fare il coatto a 300 all’ora per le strade della Costa Azzurra e non per soffocargli il motore procedendo a 50 all’ora sennò il pupo poi si sveglia.

giovedì 19 luglio 2012

HO UN SASSOLINO NELLA SCARPA...



Oggi ero al solito centro analisi che per un mese ho visitato regolarmente ogni settimana sottoponendomi ai controlli per riottenere la patente. Per vedersela sospesa. Siamo tutti d'accordo che non si guida se si è bevuto, e su questo non ho nulla da eccepire: la responsabilità della pena è solo nostra. La cosa che però contesto che che mi sembra che allo Stato la cosa che interessi sia solo punire, non rieducare, possibilmente lucrandoci sopra. Solo di analisi, a Roma, devi sborsare non meno di 500 euro. Dopo di che, ti viene ridata come un ostaggio per il quale si è pagato un riscatto ma: NON un programma di educazione stradale, NON una campagna nazionale contro la guida in stato di ebbrezza, NON un corso sulle conseguenze della guida da ubriachi o un turno in corsia al centro traumatologico che ti mostrino e ti spieghino che non si guida ubriachi non perché poi devi pagare l'ira di dio di multe ma perché puoi causare danni a te e agli altri. Se invece di colpire solo le tasche si agisse anche sulla coscienza che tutti, bene o male, abbiamo assumendosi il ruolo, lo Stato, non solo di punitore ma anche di educatore, forse, e dico forse, molta gente non si metterebbe più alla guida di un'auto neppure con un mon cherie in corpo e sarebbe un atteggiamento da stato civile se i soldi pagarti in multe venissero reimpiegati in un programma vero di educazione stradale piuttosto che per sovvenzionare le auto blu ai politici. E con l'ultima pisciata (per ora) di stamattina mi sono tolto un altro peso...

venerdì 13 luglio 2012

BIANCANEVE, DORMI SONNI TRANQUILLI.


Le favole sono la forma che una cultura da agli indottrinamenti morali perché vengano compresi dai bambini perché se è difficile fargli capire cosa significhi "non fornicare" (io da piccolo non capivo cosa c'entrassero le formiche con i divieti divini) è più semplice traumatizzarli facendogli credere che fare sesso è una brutta cosa e anche solo a provarci rischi il collasso da avvelenamento da anticrittogrammici agricoli o setticemie contratte da fusi arrugginiti.
Stasera andrò a vedere "Biancaneve e il cacciatore" (un titolo che sembra partorito dalla mente di Schicchi ma invece è solo l'adattamento del più epico "Snow White and the Huntsman") ennesimo rimescolamento della celeberrima favola che solo quest'anno ha visto produrre due pellicole ma, si sa, la favola di Biancaneve è come la carne di pollo: la puoi servire in 100 modi diversi e ognuno aggiunge qualcosa di suo a seconda del gusto personale. Questa versione in particolare la trovo però particolarmente surreale. E non perché racconti una storia di magia ma perché nel film "Biancaneve e il cacciatore" la strega cattiva è Charlize Theron che è di una bellezza tale da convertire alla topa persino Roberto Bolle mentre Biancaneve è Kristine Stewart, un mistero Hollywoodiano più oscuro della vera causa della morte di Marilyn Monroe.
Passi pure il fatto che la Stewart ha persino meno espressioni di Nicolas Cage che meriterebbe di interpretare solo un monolite di Stonange ma dal punto meramente estetico per quale motivo una strega alta 185 centimetri, con gambe affusolate, viso perfetto e un reame in suo potere dovrebbe provare invidia per questa Biancneve che sembra una 16enne che ha fatto sega a scuola e gira per Roma Est (ndr: noto centro commerciale della periferia capitolina) a guardare vetrine di Yamamaya con un bicchiere di Coca del Mc Donald's tra le mani? Ecco allora che in un attimo il film passa di genere transitando dal "fantasy" a uno tutto nuovo, il "surreal" perché se sei come la Theron una biancascialba come Kristine ha per te la stessa rilevanza di un moscerino sul parabrezza, perché nessun principe si sognerebbe di preferire una morta di sonno a te, altera e potente, perché il cacciatore che le deve strappare il cuore per farne un frappé di lunga vita lo farebbe volentieri anche senza che gli venisse imposto e perché se la storia "della bellezza interiore" fosse vera a quest'ora la duchessa di Cambridge non sarebbe Kate ma Susan Boyle.

giovedì 5 luglio 2012

NON ASCOLTERO' PIU' UNA CANZONE DI DALLA.


Quando è morto Lucio Dalla sono stato tra quelli che nonostante le sue simpatie per l'Opus Dei, nonostante la sua sessualità "discreta", nonostante il rifiuto sistematico di schierarsi al fianco di ogni forma di lotta che riguardasse i diritti dei gay (che dovrebbe prescindere dalle inclinazioni di ognuno visto che io mi batto anche per gli immigrati, le donne e gli ebrei pur non rientrando in nessuna di queste categorie ma, vabbé questo è un altro discorso...) e nonostante presentasse il compagno Marco Alemanno come un amico (neppure più Valentino descrive così Giammetti) ne difendeva commosso la memoria convinto che, pur volendo mantenere un riserbo nei confronti della sua vita privata, avrebbe comunque elargito nel testamento un segno tangibile della gratitudine che tutti noi, si spera, nutriamo per chi ci è stato accanto per oltre 10 anni. "Vedrete, non può essere tanto meschino da non lasciargli qualcosa", dicevo, e ne ero assolutamente convinto.
Ieri è stato aperto il suo testamento. Tutta l'eredità va a 5 cugini (con i quale pare non avesse neppure un grande rapporto) mentre a Marco Alemanno (ormai sdoganato dalla cronaca e presentato in tutti i TG come il compagno), nulla. Mi sento molto deluso, anzi tradito. Tradito per tutte le volte che mi sono commosso sentendo le sue canzoni e per quel briciolo di orgoglio che provavo nel condividere con lui (sebbene non ne avesse mai fatto parola, o quasi) l'appartenenza alla stessa "razza" che forse con troppa enfasi romantica mi fa sentire vicino a tutti gli omosessuali che nella storia hanno lasciato una traccia del loro genio.
Mentre scrivo, mi vengono alla mente le sue poesie in musica ma, alla luce di un gesto tanto iniquo, davanti a una tale scarsa generosità anche materiale inizio a convincermi che in fondo la sua poetica sia stata solo un bluff, un esercizio di stile, parole sublimi che non arrivavano dal cuore ma dal cervello e che alla fine Dalla sia stato come un tamburo che producesse sì un suono ma che proviene in realtà da uno strumento vuoto. Per questo non ascolterò più una sua canzone. L'arte non può prescindere dall'artista e se non lo si stima, se lo si ritiene fasullo, la sua produzione, per quanto sublime, non può creare quell'empatia necessaria alla generazione di un'emozione.  
Forse non sono a conoscenza di tutta la faccenda, forse gli ha lasciato dei soldi in una cassetta in Svizzera di cui solo il compagno ha la combinazione ma anche fosse, resta il fatto che, di fronte ad un atto pubblico, abbia continuato a nascondere il nome del suo amore. Si pensa sempre che un artista sia migliore di noi altri, e ne sono convinto, ma in questo caso Lucio Dalla si è comportato come un omuncolo comune trattando il compagno come un'amante qualsiasi, perfetto nel letto ma imbarazzante in pubblico.

mercoledì 4 luglio 2012

IL VALORE DEGLI ESEMPI: DA TOTI A COOPER.


Se sento ancora solo una volta qualche segretaria d’ufficio con un libro di Sophie Kinsella nella borsa e la foto del suo gatto sulla lavagna di sughero affermare con il sorriso da "mai stata infelice in vita mia" che: “a me non importa con chi vai a letto. Perché bisogna dire di essere gay?”, giuro che mi metto a urlare così farte da farla diventare sterile. La cosa inquietante è che molto spesso è un pensiero condiviso anche dai fascisti rinfrescati da una sola mano di vernice democratica quando, con il culo stretto come il pugno di un picchiatore, si lanciano in dichiarazioni di incredibile tolleranza 
(in primis, per loro).
Ma io sono un complottista, diffidente per natura, sospettoso per esperienza e ho sempre tradotto questa proposizione apparentemente alla “volemose bene” come un “fate il cazzo che vi pare, ma tappati in casa vostra”, come se al contrario gli omosessuali non desiderassero altro che esibire tutte le posizioni del Kamasutra in Campidoglio, possibilmente durante il giorno di visita gratuita ai Musei Capitolini.

Pochi giorni fa Anderson Cooper (che per chi non lo conoscesse è un giornalista e conduttore statunitense della CNN) ha dichiarando la propria omosessualità e non lo ha fatto per incrementare le sue quotazioni alla borsa valori gay (francamente non ha bisogno di questi mezzi per aumentare la lista dei pretendenti essendo uno splendido cinquantenne, per giunta ricco come Creso) ma per una ragione che a molti sembra sempre ancora tanto difficile da comprendere: il senso dell’onestà morale.

In ogni atto di coscienza condivisa infatti c’è un profondo gesto di generosità, quello che con un termine da scuola elementare potremmo chiamare “l’esempio” (ricordate quado la maestra ci raccontava Enrico Toti e il lancio della stampella?).  

E qui arrivo a rispondere a Maria Sole la segretaria e a Benito il destrorso ripulito ma lo faccio rubando la dichiarazione fatta dallo stesso Cooper con la semplicità e la limpidezza dei giornalisti americani di andare sempre dritti al punto senza troppi giri di parole: “Il fatto è che io sono gay, lo sono sempre stato e sempre lo sarò e non ne potrei essere più felice, orgoglioso e in pace con me stesso. In un mondo perfetto, non credo dovrebbe interessare nessuno, ma credo nel valore di alzarsi in piedi ed essere considerato per quel che sono”. Questo è il punto centrale di tutto, l’esempio di Enrico Toti di cui parlava la mia insegnate: credo sia piuttosto evidente che non viviamo in un mondo ideale e quello che tutti siamo chiamati a fare, nei modi e nelle disponibilità personali, è tendere al “perfetto” possibile, smettendo di nascondere i nostri sensi di colpa dietro il paravento della discrezione ma portando la nostra vita come esempio per tutti e stimolo per quanti, con grande difficoltà, vivono la loro esistenza. Solo così, forse, miglioreremo la loro vita e potremo dire di aver fatto la differenza nella nostra.