mercoledì 23 maggio 2012

SI PARTE. QUASI.





















Qualche mese fa avevo una delle mie solite relazioni virtuali a distanza con uno mai visto di persona, che viveva a qualche nazione di distanza e con il quale non avevo alcuna intenzione di giungere a una conoscenza reale. In sostanza un rapporto sano.
 Una sera, chattando mi dice: “Ti devo lasciare adesso che finisco di preparare la valigia”. Io, casco dalle nuvole: “Non mi avevi detto che stessi per partire dove vai?”.
 “Sud Africa”.
 “Fantastico, rispondo io”, anche se, mi prenderete per matto, ma non ho mai trovato nulla di fantastico nel Sud Africa: io la bellezza della natura la sopporto al massimo il tempo di un aperitivo in veranda. “A che ora hai il volo, magari ci sentiamo prima”, gli scrivo con quella parvenza di struggente romanticismo.
 “Il 26 dicembre”, mi risponde mentre io interrogo con lo sguardo il calendario da tavolo e leggo che siamo ancora al 12.
Prima che gli faccia notare che mancano quasi 2 settimane, mi anticipa: “Sì mi piace preparare le cose con calma”. Una risposta che in un lampo mi dà la conferma che avere una relazione on line con me non è che uno dei tanti sintomi del suo squilibrio mentale.

 Nella visione dualistica dell’umanità, io risiedo nella schiera di quelli che prepara la valigia al massimo la notte prima. Che accatasta e non piega, che pressa e non ottimizza gli spazi, che non fa liste, non spunta priorità, non verifica i documenti ma prende e va, facendo appena affidamento a un vago schema mentale e che per questo, lungo tutto il tragitto verso l’aeroporto, viene afflitto dalla disagevole sensazione di aver dimenticato qualcosa di fondamentale.
Tra una settimana si parte.
 Questa volta vorrei avere un atteggiamento più razionale e maturo per cui passerò il fine settimana a selezionare le cose da portare per poi, nei giorni successivi, procedere all’eliminazione del superfluo, esattamente come si fa in un concorso di bellezza dove alla fine restano solo alcune meritevoli prescelte con molta accuratezza. Sì perché tanto di una giacca elegante che me dovrei fare? Non la uso qui non vedo perché dovrei indossarla mentre sono in vacanza.
Stessa cosa dicasi per le camicie: in vacanza, diciamocelo, sono poco pratiche e sebbene non stia partendo per un viaggio sul lago Vittoria con Avventure nel Mondo, trovo le magliette più comode e pratiche.
 Scarpe, se non fossi afflitto dalla sindrome di Imelda, direi anche solo un paio, quelle che ho ai piedi ma per 2 settimane (e conoscendomi) è più realistico ne porti 3.
 Per quanto riguarda i “devices” tecnologici ho deciso di ridurre al massimo. L’ultimo viaggio “importante” lo feci trascinandomi il mac, 2 macchinette fotografiche, una compatta e una reflex, 2 cellulari, 2 ipod e 3 cuffie (uno nano e uno da 40G, tante volte mi fossi dovuto trovare davanti al rischio di lasciare le mie orecchie libere di ascoltare i suoni del mondo reale per più di un minuto).
Insomma così bardato sembravo il signor Sulu sulla plancia dell’Enterprise preparato per una esplorazione senza ritorno ai confini del sistema solare. Ora invece porterò solo l’iphone, che bene o male integra tutto in un minimo spazio. Tanto anche se non becco il primissimo piano dell’occhio di un piccione in volo e se per un giorno non sento Britney giurarmi di essere una “slave for me” non muore nessuno.
 Stavolta infatti la parola d’ordine sarà leggerezza. Almeno di bagagli, perché quella emotiva e interiore so già che non la otterrò altrettanto facilmente. Non basta infatti tirare una lista su un foglio di carta dei fardelli e le zavorre emotive, delle ansie e delle insicurezze che ostinatamente e nevroticamente lascio che mi opprimano per farmi decidere di lasciare nell’armadio o, addirittura, eliminarle del tutto.
Quindi le imbarcherò tutte con me ma se è vero che ogni viaggio porta con sé la speranza dell’inatteso e l’illusione della sorpresa, chissà che, almeno al ritorno, non sia tanto fortunato da dimenticarmene qualcuna laggiù.

giovedì 10 maggio 2012

Obama, L'Alabama e i matrimoni gay.

Il North Carolina qualche giorno fa ha ribadito che di matrimoni tra persone dello stesso non se ne parla proprio. In realtà a deciderlo sono stati i suoi abitanti con quella forma di democrazia diretta che è il referendum. Si dice che in una repubblica sia il popolo l’unico sovrano e che spetti a lui soltanto la decisione di ciò che è bene per se stesso. A questo punto il ruolo del legislatore dovrebbe limitarsi semplicemente a registrare le decisioni prese dai cittadini. Esiste però qualcosa che è giusta nella sua essenza e che prescinderebbe anche l’avversione del 99% della popolazione terrestre i cui giudizi purtroppo sono, spesse volte, frutto di mera ignoranza. Il matrimonio è uno di quei diritti appunto che non dovrebbero essere attribuiti all’individuo sulla base di una decisione popolare ma dovrebbe appartenere all’essere umano per la sua sola peculiarità di essere tale e, per questo, non dovrebbe rischiare di essere sindacato da parte dei suoi simili. Se si fosse fatto scegliere ai cittadini dell’Alabama l’integrazione nelle università americane degli studenti di colore forse oggi ancora avrebbero bus distinti per bianchi e neri e avrebbero dovuto aspettare ancora chissà quanto prima che un afro-americano anche solo aspirare alla corsa presidenziale. L’evoluzione sociale e politica sono un processo poco lineare che non segue mai delle leggi stabilite. A volte gli stimoli arrivano dal popolo altre volte invece dai governanti. Per questo motivo, all’indomani della sconfitta referendaria del diritto di matrimonio per gli omosessuali (l’ennesimo in uno stato della confederazione a fronte di, per ora, solo 6 che lo hanno invece introdotto costituzionalmente), il presidente degli Stati Uniti ha sentito il bisogno o, forse meglio, il dovere di schierarsi apertamente e definitivamente a favore del matrimonio gay. Ora dietro a questa decisione potremmo trovare più di una motivazione politica ma questa è di fatto una questione politica e cosa ben più rilevante è che finalmente Obama abbia preso una posizione che non rischia interpretazioni di sorta. La sua dichiarazione diventa quindi un passo decisivo verso la risoluzione da parte del congresso federale di una lacuna gravissima che non può essere deferita al popolo, anche se sovrano, perché si tratta di fare una scelta dalla quale dipendono le vite di milioni di americani e il loro diritto costituzionale alla felicità.

mercoledì 9 maggio 2012

SOLO 10 MINUTI DEL TUO TEMPO

Chi non ci passa difficilmente comprende lo strazio che può dare il rifiuto di una famiglia e l'umiliazione che si prova nel vedersi negati dei diritti di semplice uguaglianza. Noi gay non vogliamo fare le vittime né vogliamo conquistare il mondo (come invece sostengono alcuni esponenti politici di destra) ma provate a pensare quanto la vita sia già dura, per tutti, e quanto sulla nostra gravi il carico ulteriore di "colpe" inesistenti da scontare. Guardate questo video e se siete d'accordo, fatelo girare. Non sempre, per fortuna, si arriva a casi tanto estremi, ma fosse anche solo per tutelare una sola coppia nel mondo, varrebbe comunque la pena di lottare.